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Chi sono e perché sono qui?

Raccontare di me abbastanza da far capire chi sono e perché sono qui non è semplice. A volerci provare, però, le cose che direi di me sono le seguenti.

Mi chiamo Erika, amo scrivere e sono una ragazza che ha scoperto di soffrire di disturbi mentali. È strano a dirsi, ma in queste quattro frasi si trovano i pilastri fondamentali che racchiudono molto di chi sono: la mia identità, le mie passioni, la mia condizione.

Non sono tutta me, chiaramente.

Ci sono tante altre sfumature e tratti che non trovano rappresentazione in una descrizione di qualche frase. Eppure contengono i punti focali che mi definiscono oggi, rendendomi diversa dalla persona che sono stata e da quella che gli altri immaginano io sia. Mi restituiscono perfino il potere di riappropriarmi della mia identità contro chi ha pensato o pensa ancora di conoscermi e, invece, non sa nulla di me.

Se dovessi usare il linguaggio della copywriter (è questo il mio mestiere), direi che queste poche frasi sono i paragrafi che racchiudono l’intero testo della mia vita.

Ma lasciate che vi spieghi meglio.

La malattia e la sua diagnosi

Ho scoperto di soffrire di disturbi mentali all’età di 25 anni. O, meglio, ho iniziato a sospettarlo e sono andata a ricercare l’aiuto di una professionista a 25 anni.

La diagnosi è arrivata con un ritardo di quasi due anni. Non perché la mia psicoterapeuta non fosse in grado di farne una, ma perché non voleva correre il rischio che mi sentissi sopraffare dal nome che hanno le cose in campo medico.
E non aveva poi tutti i torti.

Bisogna essere pronti per assorbire il colpo che viene con una notizia del genere, perché sei costretto a guardare la tua vita da una prospettiva completamente differente: chi eri, chi sei e chi sarai si trasformano in domande alle quali non sai più come rispondere con certezza. È un po’ come guardarsi in uno specchio e non riconoscere l’immagine che ci viene rimandata indietro.

Ciononostante, col senno di poi, penso che la diagnosi mi abbia fatto sentire più libera che spaventata. Ha dato un nome alla mia sofferenza e a tanti pezzi della mia vita che non riuscivo a incastrare tra loro.

Sopra ogni cosa, mi ha fatto sentire vista.

Non è stato semplice né indolore, lo preciso. Ho toccato il fondo, l’ho scavato e ho strisciato raschiando la carne fino alle ossa, prima di pensare di poter riprendere fiato e tentare la risalita.
Ho pensato che non ce l’avrei fatta, che fosse troppo da sopportare.
Ho pensato di essermi inventata tutto per il bisogno di attenzioni.
Ho anche pensato di mollare.

Invece, mostrando una forza, un coraggio e una pervicacia che neppure io mi sarei mai aspettata di possedere, sono andata avanti e sono riuscita a fare del mio percorso molto di più che un appunto su una cartella clinica.

Ho deciso di usare la mia esperienza come spunto per puntare un faro sulla salute mentale, in un Paese in cui se ne parla ancora troppo poco e con scarsa cognizione di causa.

Quando nasce l’idea del blog

Il progetto di questo blog è sbocciato in quello che definirei come il periodo più buio del mio percorso.

Stavo malissimo, non vedevo via d’uscita e mi sentivo sola.

Avevo una terapeuta sulla quale fare affidamento, degli amici pronti a sostenermi e due genitori disposti a mettersi in discussione, certo, ma non era abbastanza.
In quel momento, ricordo che desideravo soltanto avere la possibilità di confrontarmi con qualcuno che capisse cosa significhi vivere con un disturbo mentale. Con qualcuno che ci fosse già passato o lo stesse attraversando nel mio stesso presente.

Non so cosa mi aspettassi con esattezza: un po’ di conforto, sostegno, vera comprensione. Forse, più semplicemente, desideravo sentirmi meno diversa, incompresa e sbagliata di quanto mi facessero credere le voci nella mia testa. Magari, volevo proprio tutte queste cose insieme.

Così, col trascorrere del tempo, dopo aver cercato gruppi di sostegno su Facebook e aver miseramente fallito, sono giunta a una conclusione.

Nessuno si sarebbe dovuto sentire come mi ero sentita io: sola e sperduta.

Non avrei lasciato che lo spunto offertomi dalla sofferenza andasse sprecato. In particolare, avrei impedito che la sensazione di solitudine che avevo provato io scoraggiasse e indebolisse qualcun altro come aveva fatto con me.

Ma cosa potevo fare a riguardo e come?

La scrittura e il sogno di una vita

Il sogno più grande che io abbia mai avuto da bambina è scrivere. Scrivo da che ho memoria e, da allora, non ho mai smesso di farlo.

Ho iniziato con i diari segreti e ho continuato con i racconti di fantasia, prima brevi e via via sempre più lunghi. Non c’è mai stato un momento in cui io abbia veramente smesso di scrivere, neppure quando la vita e il dolore hanno preteso di mettersi in mezzo. E, tuttavia, la scrittura è sempre rimasta relegata in posizione subalterna, trattata come un hobby che si coltivi nei ritagli di tempo liberi e nulla più.

È qui che subentra il lato positivo della malattia: se è vero che non mi ha risparmiato neppure una goccia di sofferenza, la malattia mi ha anche dato la spinta per trovare il coraggio di recuperare un sogno nel quale avevo smesso di credere.

La scrittura è il mezzo con il quale raggiungere l’obiettivo che mi sono prefissa, quello di aiutare chiunque stia attraversando un sentiero complicato come quello della malattia mentale.

Il blog è lo spazio sul quale lavorare per dare forma ai miei pensieri e per mettere bianco su nero cos’ho imparato (e ancora sto imparando) nel mio percorso di terapia.

Una community libera da ogni pregiudizio è ciò che mi auguro di creare.

Il tema del blog: a chi mi rivolgo?

Potresti pensare, a questo punto, di sapere quale sia il tema del blog e, probabilmente, ci arriveresti anche vicino.

Intendo parlare di salute mentale, certo, e voglio creare un punto di ritrovo per chiunque senta il bisogno di confrontarsi, chiedere un supporto oppure semplicemente leggere un articolo in cui riconoscersi.

Ma c’è di più!

Soffrire di disturbi mentali è una condizione che presenta moltissime sfaccettature, spesso stravolte nell’immaginario collettivo dalla malattia più diffusa tra il genere umano: l’ignoranza.
Penso a chi è convinto che avere la depressione significhi essere tristi e che basti uscire di casa o “pensare positivo” per liberarsene; o a chi crede che avere un disturbo alimentare sia solo un modo per attirare l’attenzione o, addirittura, “la via più semplice per ottenere un risultato”.

Quello che voglio fare io è aprire una finestra sul mondo della salute mentale a tutto tondo sia per creare una connessione con chi è affetto da un disturbo, sia per sfatare i miti più fastidiosi e superficiali che orbitano attorno al funzionamento della mente.
Nella migliore delle ipotesi, spero di fornire qualche strumento utile a chiunque conosca una persona in difficoltà, ma non sappia cosa fare né cosa dire per essere d’aiuto.

Per riuscire a creare un dialogo valido sull’argomento, invero, ritengo che la conversazione debba coinvolgere i diretti interessati, ma anche chi li circonda. La speranza rimane favorire la diffusione di un messaggio più puntuale e consapevole.

Ovviamente, tenete a mente che il nostro è un dialogo da non professionista a non professionista – da persona a persona – e che non posseggo nessuna qualifica professionale in materia. Questo significa che non pretendo, né voglio sostituirmi agli esperti. Anzi, ne riconosco a tal punto il valore che non soltanto sono attualmente seguita da una psicoterapeuta e da una psichiatra, ma consiglio anche a chiunque ne senta il bisogno di cercarne l’aiuto.

Cosa rispondo, se mi chiedete chi sono e perché sono qui?

Dico che sono una ragazza come tante che ha scoperto di soffrire di disturbi mentali e ha tanto patito la solitudine. Sono una ragazza che ha creato un blog con il desiderio di mostrare agli altri come sia soffrire di disturbi mentali e di sensibilizzare i lettori sull’argomento.

A voler pensare in grande, spero altresì di suscitare curiosità in coloro che non si sono mai posti il problema della salute mentale altrui.

Parlare, infatti, può fare la differenza.

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