0 In Vivere con un disturbo mentale

Ipocondria: la paura di essere malati

L’ipocondria è una malattia, non soltanto una paura infondata

La mia paura ha un nome e quel nome è ipocondria. È questa, probabilmente, la frase che descrive meglio la condizione — spesso oggetto di scherno e sottovalutazione — di chi affronta la propria vita a tu per tu con l’instancabile compagnia di questo disturbo mentale. Ciò che non immagina la maggior parte delle persone, infatti, è che si commette un errore a ridurre l’ipocondria a una mera paura senza fondamento. L’ipocondria è una malattia e l’espresso riconoscimento arriva dal DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali).

Se l’avessi saputo una decina di anni fa, avrei convissuto in modo più pacifico con me stessa e non mi sarei sentita in colpa. Suonerà strano alle orecchie di un profano, ma, quando si parla di ipocondria, è la sensazione di inadeguatezza che accompagna chi ne soffre. Non soltanto sei costretto a fare i conti con una malattia debilitante, ma si fa spazio dentro di te anche il timore di diventare un peso per gli altri.

Del resto, come fai ad essere sicuro che non sia davvero così? Che quello sbuffo o quell’occhiata in tralice non significhi che non ne possono più di averti attorno?

Se hai aperto questo articolo, è probabile che tu voglia saperne di più sull’ipocondria. Quindi, ti confermo che sei atterrato sulla pagina giusta del web: insieme, esploreremo i meandri di questa condizione per capire di cosa si tratta e cosa c’è dietro la paura incontrollata della malattia.

L’ipocondria è una malattia?

Un volto coperto da una maschera interamente bianca. La persona tiene la maschera con entrambe le mani in segno di paura.

La risposta è affermativa. Sebbene venga trattata dalla collettività più come una fissazione, l’ipocondria rientra a pieno titolo nel gruppo dei disturbi mentali. A darcene conferma è la sua presenza del DSM-5, il manuale diagnostico sul quale si fondano il riconoscimento e il trattamento dei disturbi della psiche.

In particolare, la sua definizione va sotto il nome di Disturbo dell’Ansia da Malattia. Con essa, si individua uno stato di intensa paura o angoscia rispetto alla possibilità di avere o contrarre una malattia grave, nonostante una rassicurazione medica. In questi casi, di solito, il soggetto interpreta alcune normali funzioni corporee (ad esempio, il prurito, il gonfiore addominale, la sudorazione) come sintomi di un malanno più o meno grave.

L’esempio più calzante che possa fare rimanda alla mia esperienza: ero convinta che le palpitazioni — dovute a un’ansia patologica che, allora, non mi era ancora stata diagnosticata — fossero indice di un problema cardiaco serio, il quale mi avrebbe portata a una morte improvvisa e prematura.

Affinché possa parlarsi di ipocondria, è necessario che

  • i sintomi persistano per più di 6 mesi;
  • ci sia un accertamento medico che smentisce clinicamente le preoccupazioni del soggetto;
  • i sintomi si siano intensificati al punto da interferire con il normale svolgimento delle attività sociali e lavorative della persona.

Perché si diventa ipocondriaci?

Ragazza che si nasconde dietro una tenda bianca, illuminata dal sole.

La convivenza con l’ipocondria è una convivenza scomoda, fatta di ansie e grandi, pietrificanti paure. La tua attenzione rimane tutta focalizzata sul corpo e sul suo funzionamento; e hai come l’impressione che ci sia sempre un’anomalia dietro l’angolo pronta a vincere il gioco. Quale? Quello della vita.

Un ipocondriaco vive una situazione molto particolare: ha paura di morire ma ha anche paura di vivere. Nell’ossimoro che diventa la sua quotidianità, oscilla tra il bisogno di tenere sotto controllo la propria salute e l’incapacità di godersi il presente perché troppo preoccupato per un eventuale, catastrofico futuro.

Ma come si arriva a questo punto? Quali sono le cause dell’ipocondria?

È difficile dare una risposta univoca a questa domanda. Come per tutti i disturbi mentali, non è possibile individuare una sola causa scatenante. Spesso, al contrario, intervengono multipli fattori che unitamente contribuiscono a determinare il risultato patologico. Una certezza, però, l’abbiamo: chi è sottoposto a esperienze di malattia personali o familiari è più soggetto a diventare ipocondriaco.

Non deve stupire, del resto — o almeno non stupisce me, che su questo genere di vissuto ho parecchio da dire. Assistere alla sofferenza di una persona cara o vivere uno stato di profonda debolezza a causa di un malessere diventano circostanze provanti al limite del traumatico. Già, perché anche in questo caso è di trauma che si parla.

Cosa è considerato trauma?

Spingersi nel terreno nebbioso del trauma non è semplice, specie per chi come me vi è stata esposta. Ciò che mi sento di dire di fronte a questo interrogativo è che bisogna fare un distinguo tra ciò che la società pensa che sia un trauma e ciò che realmente esso rappresenta per le fonti autorevoli (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri).

In psicologia, si definisce traumatico un evento che sia risultato estremamente stressante per la persona. Rientrano in questa categoria l’aver subito minacce alla propria (o altrui) incolumità fisica, le molestie sessuali, l’esposizione a forme di violenza verbale continuativa ma anche situazioni come il lutto, la fine di una relazione, il mobbing. La genericità dell’espressione utilizzata (“evento estremamente stressante per la persona”) vuole proprio avere carattere inclusivo.

Perché faccio questa precisazione? Perché, nella società, almeno la metà delle situazioni cui ho fatto riferimento non viene considerata degna dell’etichetta del trauma. Insomma, un conto è se sei stato a fare una missione in Afghanistan e un altro è se hai avuto delle “semplici scaramucce” sul posto di lavoro.

Il risultato è un’erronea ma soprattutto inesatta classificazione del dolore.

Cosa c’è davvero dietro la paura della malattia?

Un dente di leone i cui petali vengono portati via dal vento, a simboleggiare il senso di vulnerabilità tipico della persona ipocondriaca

La paura e il senso di vulnerabilità sono due delle sensazioni con cui ho convissuto a lungo, nel periodo di più intesa manifestazione del disturbo. Avevo come l’impressione di avere attaccata sulla schiena una data di scadenza, che nessuno riusciva a vedere tranne me. Ero un’ospite sulla stessa terra che avevo sempre calpestato e mi muovevo con il timore che finisse tutto da un momento all’altro.

Con il senno di di poi, dovuto a 4 anni di psicoterapia, riesco a comprendere il diretto legame tra i miei traumi e il sentirmi così in balìa della vita. Se mi fossi applicata un po’ di più nella mia attività di diagnosi, mi sarei probabilmente resa conto che avevo ragione: stavo solo guardando alla parte del corpo sbagliata.

Così, mentre mi affannavo a combattere e a prevenire malattie al cuore e al seno, ma anche ad aiutare chi mi stava accanto a capire quanto fosse fragile la vita e perché fosse necessario fare accertamenti su accertamenti, non comprendevo che la sirena urlava proprio dentro la mia testa. Erano lì il dolore, la paura, le ferite sanguinanti, le schegge lasciate dietro dal trauma. Erano le mie connessioni neurali a pulsare, a chiedere pietà.

La cosa peggiore, ripensandoci, è che in quel periodo mi sono sentita estremamente sola, perché nessuno comprendeva cosa stessi passando.

Come si fa a combattere l’ipocondria?

Un gruppo di ragazze che sostiene un amica, poggiandole le mani sulle spalle, simbolo del sistema di supporto di cui ha bisogno chi soffre di ipocondria

“Guarda che non hai nulla” o “Ti stai fissando come sempre” sono due delle frasi che mi sono sentita ripetere più di frequente e che, nel tempo, hanno accresciuto in me la sensazione di essere sbagliata. Nessuno è mai riuscito a capire che la mia fosse una richiesta d’aiuto — mascherata al punto da essere irriconoscibile anche ai miei occhi, certo, ma altisonante e impossibile da ignorare.

Sminuire il dolore portato da una persona ipocondriaca non è la soluzione, come non lo è renderla la battuta a piè di conversazione in una serata afosa. La cura, infatti, viene sempre con l’accoglimento e mai con il rifiuto.

Il solo modo per guarire dall’ipocondria è affrontare un percorso di psicoterapia con un professionista, che possa guidare il paziente nelle salite impervie del disturbo mentale. È possibile che, in questa fase, venga consigliata una consulenza psichiatrica per pensare all’integrazione di una terapia farmacologica, che aiuti ad alleggerire le sofferenze del paziente.

Esiste anche un altro aiuto, però, concomitante a quello degli esperti, e consiste nel supporto psicoemotivo dato dagli affetti più cari.

Se conosci una persona che soffre di ipocondria e vuoi essere d’aiuto, sei sicuramente sulla strada giusta — quella della buona volontà. Devi anche essere disposto a imparare per capire come essere davvero di sostegno a chi ami. Come? Lascia che te lo spieghi:

  • non ignorare le preoccupazioni che ti vengono esposte (ad es. “stai benissimo, te lo dico io”);
  • evita di suggerire soluzioni banali come “dormi che ti passa” o “esci con un amico”;
  • ascolta con attenzione ciò che l’altro ti sta dicendo e dimostra reale interesse;
  • suggerisci un controllo medico per aiutarlo a fugare i suoi dubbi, mostrandoti disposto ad accompagnarlo;
  • assicurati che nessuno della cerchia di conoscenze (familiari, amici) adotti un comportamento aggressivo e respingente (ad es. “sono stufo dei tuoi discorsi” o “parli sempre delle stesse cose”);
  • prova a far notare che queste paure, forse, nascondono un disagio più profondo che merita l’assistenza di un professionista della salute mentale.

Bada bene! Non è detto che questi accorgimenti risolvano il problema, né che conducano in modo lineare all’imbocco del sentiero del miglioramento. Ti aiuteranno, ad ogni modo, ad evitare che la persona che vuoi aiutare si chiuda in se stessa e si isoli ancora di più nelle proprie apprensioni.

Una mano aiuta l’altra.

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L'ipocondria è una malattia, non solo una paura infondata
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L'ipocondria è una malattia, non solo una paura infondata
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L'articolo affronta le complessità legate a chi soffre di ipocondria e mira a evidenziare quali siano le cause e come affrontare questo disturbo mentale
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Ilmiocorpononsolomio

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