2 In Le stanze della mente

Non è merito mio, sono solo stata fortunata: la sindrome dell’impostore tra cause e rimedi

“Anche re, filosofi e signore vanno al bagno” diceva Montaigne con quel suo tono sfacciato, capace di restituire umanità anche agli inarrivabili. Già, perché la frase del filosofo ha un significato incontrovertibile: tutti sbagliano, tutti sono imperfetti anche chi sembra immune agli errori.

Ma, se è davvero così, perché non c’è persona che non abbia sperimentato la sensazione di essere una truffa

Hai superato un esame difficile: è stato un colpo di fortuna. Hai ottenuto una promozione: dev’esserci stato un errore di valutazione. Hai conquistato la persona che desideravi: presto o tardi, si accorgerà che non vali quanto pensava.

Quale che sia l’ambito, le persone sono portate a dubitare di sé come non fanno degli altri. Persino di fronte a un complimento, è più diffusa la tendenza a rispondere con ironia e a sminuirsi, piuttosto che limitarsi ad accettare con gratitudine.

Se fosse capitato anche a te, sappi che questa inclinazione comportamentale ha un nome: sindrome dell’impostore.

Cos’è e cosa non è?

Foto di the blowup su Unsplash

Partiamo dalle basi e, cioè, dallo stabilire cosa la sindrome dell’impostore non è. Non si tratta, innanzitutto, di un disturbo mentale. Il “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, infatti, non lo inserisce nelle proprie classificazioni. 

Tanto dipende dal fatto che, affinché si possa utilizzare l’etichetta del disturbo mentale, è necessario che i sintomi manifestati siano così intensi da comportare un notevole peggioramento nella qualità della vita della persona.

La sindrome dell’impostore, anche se costante e a tratti invasiva, raramente impedisce al soggetto di realizzare i propri obiettivi. Tutt’al più, ne ridimensiona il valore.

In che modo?

Chi ha la sindrome dell’impostore è portato a credere che qualunque suo successo sia dovuto a fattori esterni, che nulla hanno a che vedere con il suo merito e le sue capacità. Una persona che ne è affetta ritiene, infatti, di non avere grandi doti professionali e si sottostima sempre nel confronto con gli altri.

Ti stupirà sapere che anche personalità del calibro di Albert Einstein e della scrittrice Mary Angelou (nominata per il Premio Pulitzer) fossero convinti, un po’ come te, di essere stati sopravvalutati. Non avevano dato un gran contributo all’umanità e non si spiegavano come mai gli altri non se ne fossero ancora accorti.

La Sindrome dell’impostore, insomma, non risparmia proprio nessuno.

Cosa accade a una persona con la sindrome dell’impostore?

sindrome dell'impostore
Foto di Road Trip with Raj su Unsplash

Sebbene ciascuno viva a modo proprio ogni situazione, esistono delle caratteristiche comuni a chi soffre della sindrome dell’impostore. Magari, dopo questa lettura, ti riconoscerai anche tu nel “paziente impostore”.

  • Non hai molta fiducia in te stesso e nelle tue capacità professionali.
  • Tutte le volte che raggiungi un successo pensi di aver “fregato il posto” a qualcun altro più preparato di te.
  • Non ti senti mai all’altezza dei compiti che ti vengono assegnati, anche se li svolgi e non ci sono rimproveri sul tuo operato.
  • Pretendi moltissimo da te stesso e, se commetti un errore, continui a rimuginarci anche molto tempo dopo averlo fatto.
  • Nel confronto degli altri, ti senti spesso meno preparato e capace, addirittura inadeguato e “sfigato”.
  • Quando ti fanno dei complimenti, non sai mai come reagire proprio perché pensi di non aver fatto nulla di che per meritarli.
  • Hai paura che gli altri si accorgano improvvisamente che non vali nulla e ti considerino un impostore, appunto.
  • Se sei bravo a riconoscere i tuoi sbagli, non lo sei affatto ad accettare di aver fatto davvero bene qualcosa.

Quando si tratta di sentirsi una truffa, io, ad esempio, mi ritengo una professionista. Riesco a negare i miei meriti anche quando ho tutti i motivi per non farlo. Un esempio? Un giornalista e copywriter con trent’anni di esperienza alle spalle, un paio di giorni fa, si è complimentato con me per il mio modo di scrivere e mi ha suggerito caldamente di continuare a farlo perché mi ritiene molto brava.

Il mio primo pensiero? Come minimo, si sarà ingannato. Magari, era stanco e ha letto male, oppure gli sono sembrata più brillante di quanto non sia in realtà rispetto alla media degli altri corsisti.

Mi sento un’impostora anche nelle cose più banali, come quando uso una foto del profilo, gli altri mi fanno i complimenti e io mi sento in dovere di specificare “ma guarda che non sono davvero così nella realtà, eh! Sono solo venuta bene in questo scatto in particolare”. E sto lì a rimuginare per giorni sulla possibilità di toglierla per non ingannare gli altri sul mio vero aspetto fisico.

Insomma, gira che ti rigira, non ne faccio mai una giusta.

Ma com’è stata scoperta la sindrome dell’impostore?

Il merito della sua individuazione si deve al lavoro congiunto delle psicologhe statunitensi Pauline Clance e Suzanne Imes che, nel 1978, osservarono il comportamento di alcuni studenti di atenei prestigiosi. Notarono, così, che i ragazzi fossero convinti di non meritare il loro successo, neppure di fronte ai loro brillanti risultati accademici. Erano, anzi, certi che gli altri si fossero ingannati sul loro reale valore e che, presto o tardi, sarebbero stati smascherati, perdendo così ogni conquista fatta fino a quel momento.

Dopo una folta serie di studi incrociati su genere, età, razza ed etnia, adesso si sa che la sindrome dell’impostore colpisce indistintamente circa il 70% della popolazione mondiale almeno una volta nella vita. 

Le cause: tra infanzia e società

famiglia che passeggia con ombrelli
Foto di Dimitri su Unsplash

Esistono diversi filoni di pensiero, quando si tratta di individuare le cause che favoriscono l’insorgenza della sindrome dell’impostore. Nessuno di questi, però, esclude l’altro. È, anzi, possibile che le cause si mescolino tra loro, creando terreno fertile per lo sviluppo dei sintomi.

La prima corrente ritiene che la principale causa sia da ricercare nell’infanzia e, in particolare, nel rapporto impari che si instaura tra bambino e genitore. Da piccoli, si è naturalmente portati a guardare gli adulti con gli occhi dell’ammirazione e li si classifica come persone inarrivabili, che tutto sanno. I bambini, in sostanza, non riescono a immaginare che i genitori siano stati piccoli e insicuri a loro volta, quindi rimangono certi di non poter mai reggere il confronto. Questa è una convinzione che si portano dietro per tutta la vita, inconsciamente, e che tendono ad applicare anche da adulti. 

Per questo motivo, chi ti circonda sembra sempre più preparato, più affascinante, più capace di te.

La seconda corrente ritiene che il più grande impatto dipenda dalla società in cui viviamo, una “società dell’apparenza”. Tutti vogliono mostrare il meglio di sé – sui social ma anche nella vita – e tu finisci per fare altrettanto. Finisce così che, nel confrontarti con le tue insicurezze, ignori che gli altri possano averne a loro volta e arrivi a pensare che il problema sia soltanto tuo. È un fenomeno, questo, noto come ignoranza pluralistica.

A tutto questo, si aggiungerebbero fattori predisponenti come l’essere introversi, l’avere un carattere ansioso e una naturale tendenza al perfezionismo. Pare, inoltre, che siano più soggetti a svilupparla coloro che hanno un più alto livello di istruzione scolastica e che, spesso, arrivano a ricoprire posizioni prestigiose nel settore di riferimento.

L’Effetto Dunning-Kruger come opposto alla sindrome dell’impostore

ragazzi che fanno pressione su altri ragazzi
Foto di Jerry Zhang su Unsplash

Se è vero che esiste chi non si sente mai all’altezza della situazione e degli altri, esiste anche il suo esatto contrario: persone che sovrastimano le proprie competenze.

L’esperimento condotto dai ricercatori Dunning e Kruger si è focalizzato sulla sottoposizione di alcuni test a un gruppo di persone nello svolgimento di attività diverse, dalla grammatica al tennis. Il risultato ottenuto, poi approfondito con un altro campionamento alla Cornell University, portò i due a ipotizzare l’esistenza di una distorsione cognitiva nei soggetti meno preparati.

In sostanza, se nella sindrome dell’impostore una persona qualificata crede di non esserlo e valuta sempre gli altri come a lei superiori, nell’effetto Dunning-Kruger i soggetti incompetenti sono convinti di valere molto di più degli altri e di possedere delle brillanti capacità che in verità non hanno.

Rimedi alla sindrome dell’impostore

ragazze sedute a un tavolo che parlano
Foto di Christina @ wocintechchat.com su Unsplash

Non trattandosi di un vero e proprio disturbo mentale, la buona notizia è che la sindrome dell’impostore più essere tenuta sotto controllo ed esorcizzata in modo semplice: parlandone.

Confrontarti con chi ti sta accanto, difatti, ha il potere di sradicare l’errata convinzione di perfezione che hai degli altri. Confidarti ti permetterà di scoprire che, nel 90% dei casi, anche le persone che conosci sperimentano gli stessi dubbi, le medesime incertezze e la sensazione di non essere poi un granché.

Sembrerà sciocco, ma sapere che non sei l’unico a pensarla in questo modo può aiutarti a prendere consapevolezza dell’effettivo valore delle altre persone e, quindi, anche del tuo. Inoltre, ti permetterà di accettare quello che stai provando senza tacciarlo di stranezza. 

Non c’è nulla di sbagliato in te e non sei solo.

Un’altra buona abitudine potrebbe essere quella di mettere nero su bianco tutti i traguardi che hai ottenuto, come se stessi redigendo un curriculum. Questo potrebbe aiutarti ad avere una visione d’insieme più oggettiva: non puoi aver ottenuto tutto per mera fortuna né puoi pretendere che siano sempre gli altri a sbagliare e tu ad avere ragione. 

Sarebbe un po’ presuntuoso, non trovi?

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2 Commenti

  • Rispondi
    Cristina Petrini
    1 Giugno 2021 at 9:57

    Come sempre nei tuoi articoli riesci a fare un viaggio nelle emozioni umane, mai scontato. E’ un momento di pausa e riflessione per ragionare e riflettere realmente sul significato di troppe cose che diamo per scontato. Anche io con il mio servizio di consulenza tra i miei percorsi ne ho proprio dedicato uno all’anima ed alle emozioni. L’ho chiamato Soul Spa, un modo per entrare in contatto con la stessa e riflettere e connettersi con le proprie sensazioni… E come dico sempre io la felicità non è la destinazione, dunque hai riassunto tutto al meglio!

    • Rispondi
      ilmiocorpononsolomio
      1 Luglio 2021 at 22:25

      Intanto, parto col dire che amo “soul spa”. Mi restituisce l’immagine di un luogo dove c’è spazio per se stessi e per il proprio mondo interiore. Riesco a immaginare di uscirne alleggerita da tutto quello che mi porto dietro, fosse anche solo l’illusione di pochi momenti. Per il resto, sono contenta che l’articolo ti sia piaciuto e sia riuscito a farti compiere un viaggio emozionale. È quello che voglio, del resto: essere un po’ una guida, come quelle che si vedono ai musei, e far scoprire cosa c’è sotto la superficie delle cose. Grazie per aver lasciato questo commento ma, soprattutto, per aver letto!

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